Scendo dal treno, attraverso il piazzale della stazione, affollato di persone e di traffico, e salgo sull'autobus fermo al capolinea, già pieno di gente. Dopo qualche minuto, l'autista accende il motore, chiude le porte e va. Sto lì, perso nei miei pensieri, quando vedo che mi si avvicina un tipo. Avrà trent'anni, è rovinato, sudicio, emana un cattivo odore, e mi rivolge la parola con un tono lamentoso da tossico in crisi d'astinenza.
- Scusa, questo porta al Biri?
Non poteva essere diretto da nessun'altra parte: questo è un autobus che va nella zona industriale, di solito porta lavoratori, o studenti che scendono nella zona degli istituti universitari, ma passa anche dall'orrido piazzale affogato nel traffico che, insieme alle vie circostanti, è sede di uno dei maggiori centri di smercio di droga della regione. Peraltro, la zona è appropriata, visto che da lì parte una teoria di capannoni a scatola che ospitano centri commerciali e rivendite in franchising, che si conclude qualche chilometro più in là con l'apoteosi della grande distribuzione, nelle vicinanze del casello dell'autostrada. Uno dei non luoghi più angoscianti che mi sia capitato di vedere.
Lo ammetto, non sono felice delle attenzioni rivoltemi da questo individuo dall'aspetto poco invitante e poco raccomandabile, ma non posso far finta di niente.
- Sì, va al Biri.
Ma la risposta non lo soddisfa. Evidentemente è troppa l'ansia di arrivare ad acquistare la dose che gli serve, e ha paura di essere su un autobus sbagliato.
- Ma sicuro che va al Biri?
- Sì, ora va su per di qua, poi ad un certo punto gira a sinistra, passa per gli istituti universitari e poi va al Biri.
- Tu scendi lì?
In un flash, immagino che qualcuno abbia cambiato durante il fine settimana il percorso di questa linea, e che io finirò sgozzato da un tossico in crisi d'astinenza che pensa lo abbia voluto imbrogliare.
- No, io scendo prima, quando gira.
- Ma proprio sicuro che ci va?
A questo punto, comincio anche a spazientirmi, e rispondo:
- Ascolta, se non mi credi prova a chiedere all'autista.
La risposta arriva, e non sono le parole, ma il tono accorato, disperato, a colpirmi:
- Gliel'ho chiesto, ma lui mi ha trattato male.
Ecco, io dentro di me ho provato fastidio, repulsione e anche un filo di timore. Ma almeno non l'ho trattato male.
17 novembre 2008
Il più piccolo dei miei fratelli
Etichette: vita moderna
Pubblicato da Deserteur alle 14:48
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2 commenti:
e su quel confine che passa la civiltà, forse
Essere trattati male, un rischio per chi in qualche modo appare o è diverso.
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